Agrifood, nasce “Grow!”: action thank per il futuro del Made in Italy

In scena a Roma il primo appuntamento di Grow!, action tank targato Agrinsieme, coordinamento nazionale che riunisce Cia, Confagricoltura, Alleanza delle Cooperative e Copagri. Nel reportage di Agrifood.tech il racconto della giornata e gli interventi dei top speaker

Pubblicato il 10 Ott 2017

Grow Agrinsieme Agroalimentare

Fare sistema come Paese e come istituzioni comunitarie per avere regole certe e farle rispettare. Investire una buona dose di impegno nelle partite della tracciabilità, della trasparenza e della promozione del Made in Italy. E uscire da una retorica di chiusura a priori che in un’epoca di globalizzazione non trova un senso compiuto. Questi sono solo alcuni dei messaggi emersi dal primo appuntamento di Grow!, action tank targato Agrinsieme, coordinamento nazionale che riunisce Cia, Confagricoltura, Alleanza delle Cooperative e Copagri, andato in scena oggi a Roma nella cornice del Tempio di Adriano.

Seguendo un format innovativo e fuori dagli schemi tradizionali di convegni e conferenze, Agrinsieme ha messo attorno allo stesso tavolo 40 rappresentanti delle aziende, il responsabile agroalimentare di Nomisma Denis Pantini, il Ministro delle Politiche, agricole, alimentari e forestali Maurizio Martina e John Clarke, direttore Politiche Internazionali della DG Agri della Commissione Europea, per creare un laboratorio di riflessione sulle policy che influenzano il futuro del settore, con un’attenzione particolare al tema degli accordi di libero scambio. Agrifood.tech c’era e ha raccolto per voi gli interventi più importanti della giornata. A questo approfondimento di cronaca della giornata seguiranno 3 mini-focus sulle parole di Martina, Clarke e Pantini, di cui troverete i collegamenti in fondo a questa pagina non appena pubblicati.

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«Questo è solo il primo di una lunga serie di incontri. Abbiamo scelto il termine “grow” (“crescere”) perché crediamo che la crescita passi dalla capacità di elaborare politiche capaci di fare sistema e di garantire benefici alle imprese e alle comunità locali. Ci siamo dati un profilo basso di visibilità che punta sui momenti di incontro come questi, per far capire alle aziende che il motore della nostra economia ha bisogno di coesione – ha spiegato in apertura Giorgio Mercuri (nella foto, a destra), coordinatore nazionale di Agrinsieme -. Siamo alle porte del G7 agricoltura (14 e 15 ottobre a Bergamo, ndr) ed è necessario più che mai discutere di futuro. Dobbiamo lavorare sempre più sugli accordi di libero scambio, che devono favorire dialogo e reciprocità. Siamo convinti che sui temi strategici si debba essere allineati e dare risposte concrete, specialmente alle piccole imprese».

Export, solo gli Usa fanno meglio dell’Italia

Ad aprire l’incontro vero e proprio è stato Denis Pantini di Nomisma, che ha presentato uno studio focalizzato sugli accordi commerciali regionali e sul ruolo dei Paesi terzi per gli scambi di prodotti agroalimentari dall’Unione Europea e dall’Italia. L’Unione Europea, rileva il report, ha concluso al momento 30 accordi con altri Paesi, mentre 43 sono provvisoriamente in vigore (tra cui quello recente con il Canada) e 20 risultano in fase di negoziazione. Dai confini UE sono partiti prodotti agroalimentari verso Paesi terzi per un valore complessivo di 125 miliardi di euro, che fanno dell’Unione il 2° esportatore mondiale dopo gli Stati Uniti.

Vini e bevande, pasta e prodotti da forno, carni, formaggi rappresentano i principali prodotti esportati, con una prevalenza di quelli trasformati (81%) rispetto ai beni primari (19%). «Gli accordi di libero scambio sono importanti per abbattere le barriere all’export che sono di due tipi. Da un lato quelle tariffarie, rappresentate dai dazi sull’importazione, e dall’altro quelle non tariffarie, che si traducono spesso in misure subdole di protezionismo mascherare da clausole commerciali o tecniche legate a etichettature o certificazioni e che dal 2012 sono aumentate in modo importante – sottolinea Pantini -. Parliamo di vincoli insormontabili per le piccole imprese, che al contrario dei big non possono delocalizzare con facilità per superare queste barriere».

Il direttore dell’area agrifood di Nomisma ha affrontato anche il tema Ceta, l’accordo di libero scambio firmato con il Canada, sottolineando le opportunità per il made in Italy: «In Canada il made in Italy è conosciuto e apprezzato: 8 consumatori su 10 hanno comprato e consumato almeno un prodotto italiano in un anno. È interessante notare che l’elemento che i canadesi guardano di più quando cercano un prodotto italiano è se nella confezione compare un logo o un’immagine che rimanda all’Italia. Questo aspetto prima del Ceta era un problema perché c’erano prodotti spacciati visivamente per italiani. Ora invece la denominazione geografica è tutelata anche grazie all’eliminazione di quegli elementi evocativi sulle confezioni che possono indurre in errore».

UE, Clarke: «Lagrifood italiano sa cosa vuol dire qualità»

Dopo di Pantini è stato il turno di John Clarke, direttore Politiche Internazionali DG Agri della Commissione Europea: «Ci aspettiamo di portare a termine entro il 2020 tutti gli accordi di libero scambio ora in discussione per far entrare le misure previste a pieno regime entro il 2030. Noi abbiamo sempre adottato un atteggiamento difensivo e negli ultimi 10 anni l’Europa è diventata più competitiva. Esporta più di Usa, Cina e Brasile. Negozia e compete con le economie più importanti. Tutto questo – sottolinea Clarke – è stato possibile grazie alla riforma della Pac (Politica agricola comune, ndr) che ha orientato il settore verso il mercato. Gli agricoltori producono ciò che possono vendere e non quello che il governo dice di piantare».

Secondo il rappresentante della Commissione europea ci son buoni motivi per essere ottimisti e tra questi, spiega rivolgendosi agli imprenditori in sala, uno è che «voi agricoltori vi siete fatti un’importante reputazione a livello mondiale puntando su prodotti di alto valore. Le regole sono vincolanti, ma voi avete trasformato un costo in un valore aggiunto. L’Italia è un esempio di questo passaggio. La qualità sarà il futuro e vi consentirà di trarre i maggiori benefici dagli accordi di libero scambio».

Mipaaf, Martina: «Stiamo scrivendo un capitolo nuovo»

A chiudere la giornata, dopo aver ascoltato gli interventi di tutti i partecipanti*, è stato il ministro Martina. «Abbiamo sulle spalle una responsabilità di carattere pubblico, politico e istituzionale delicata. Da come delineeremo questa frontiera delle regole passerà l’idea che i cittadini si faranno del mondo. Il ripiegamento sulla chiusura che difende distanziando – sostiene il numero uno del Mipaaf – è un grande tema di orientamento negativo. La responsabilità delle istituzioni e del settore è far capire che abbiamo bisogno di un altro modello. Anche nel racconto degli accordi dobbiamo alzare l’asticella». Secondo Martina una delle chiavi di volta è «mettere in piedi esperienze produttive di territorio sul perché servono accordi commerciali».

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*Al tavolo di presidenza erano presenti Dino Scanavino (Presidente Cia), Elisabetta Franchi (Vice Presidente Confagricoltura), Francesco Verrascina (Presidente Copagri), Elia Fiorillo (Vice Presidente Agci Agrital) e Giovanni Luppi (Presidente Legacoop Agroalimentare), oltre a 40 imprenditori delle varie filiere dell’agroalimentare.

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