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Cosa sono le etichette alimentari e quando sono obbligatorie 



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Le etichette alimentari sono informazioni stampate o incise su una confezione di un prodotto atte a descriverne il contenuto. Sono obbligatorie per tutti i produttori di alimenti e devono essere accurate, complete e non fuorvianti. Tuttavia, a livello artigianale o di piccola scala possono essere soggette a esenzioni o a requisiti diversi

Pubblicato il 1 mar 2023



etichette alimentari

Le etichette alimentari possono essere considerate una sorta di carta d’identità di un prodotto: devono contenere informazioni chiare e leggibili, e ovviamente veritiere, sul contenuto e sulla composizione dell’alimento a cui si riferiscono. Ciò garantisce il diritto dei consumatori a prodotti alimentari sicuri e a un’informazione accurata e trasparente. Le etichette alimentari svolgono infatti un ruolo determinante nel momento dell’acquisto aiutando i consumatori a compiere una scelta informata e consapevole di ciò che andranno a consumare in tavola.

L’ultimo aggiornamento in merito, a livello legislativo, risale al Regolamento europeo n. 1169 del 2011 che aggiorna e semplifica il quadro normativo sulle etichette alimentari per tutelare ulteriormente la salute dei consumatori, garantire la libera circolazione di alimenti sicuri e assicurare il diritto all’informazione sugli alimenti così da compiere scelte consapevoli. Presto l’UE proporrà un’etichettatura nutrizionale obbligatoria armonizzata sulla parte anteriore della confezione.

Etichette alimentari: la disciplina in materia

Per etichetta alimentare si intende, come si può leggere nell’articolo 2 del Regolamento (UE) n. 1169/2011, qualunque menzione, indicazione, marchio di fabbrica o commerciale, immagine o simbolo che si riferisce a un alimento e che figura su qualunque imballaggio, documento, avviso, etichetta, nastro o fascetta che accompagna o si riferisce a tale alimento”.

Il Regolamento UE, che disciplina le etichette alimentari stabilendo i principi generali, i requisiti e le responsabilità in materia, si applica agli operatori del settore alimentare in tutte le fasi della catena alimentare, qualora le loro attività riguardano la fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori. Si applica a tutti gli alimenti destinati al consumatore finale, compresi quelli consegnati dalle collettività, e quelli destinati alla fornitura alle collettività (articolo 1, paragrafo 3), fatti salvi i requisiti in materia di etichettatura previsti da specifiche disposizioni dell’Unione applicabili a determinati alimenti.

Indicazioni obbligatorie da riportare nelle etichette alimentari

Per l’etichettatura degli alimenti preimballati, con cui si intende “qualsiasi singolo articolo destinato ad essere presentato in quanto tale al consumatore finale e alle collettività, costituito da un alimento e dall’imballaggio in cui è stato confezionato prima di essere messo in vendita, in modo tale che il contenuto non possa essere alterato senza aprire o modificare l’imballaggio”, il Regolamento stabilisce un elenco di indicazioni obbligatorie che devono essere fornite al consumatore finale (articolo 9):

  • Denominazione di vendita: il nome del prodotto alimentare deve essere descrittivo e facilmente comprensibile e recante lo stato fisico nel quale si trova il prodotto o lo specifico trattamento che ha subito (ad esempio in polvere, ricongelato, liofilizzato, surgelato, concentrato, affumicato). Per i prodotti congelati prima della vendita e che sono venduti decongelati è obbligatorio riportare, accanto alla denominazione del prodotto, l’indicazione “decongelato”.
  • Lista ingredienti: l’elenco di tutte le sostanze impiegate nella produzione, in ordine decrescente di peso e designati con la denominazione legale. L’indicazione degli allergeni deve essere evidenziata con carattere diverso rispetto agli altri ingredienti per dimensioni, stile o colore, in modo da permettere di visualizzarne rapidamente la presenza. Anche i prodotti sfusi devono riportare l’indicazione della presenza degli allergeni, segnalata anche sui prodotti somministrati nei ristoranti, mense, bar ecc. Nel caso di presenza di “oli vegetali” o “grassi vegetali”, un apposito elenco che ne deve indicare l’origine specifica (es. olio di palma, olio di cocco, grassi idrogenati ecc.).
  • Quantità in percentuale di taluni ingredienti o categorie di ingredienti: compaiono nel nome del prodotto (ad esempio: “torta di mele”), sono evidenziati nell’etichettatura mediante parole, immagini o una rappresentazione grafica (ad esempio: “contiene noci”), e sono essenziali per caratterizzare un alimento e distinguerlo da altri prodotti.
  • Quantità netta dell’alimento
  • Durabilità del prodotto: la data di scadenza (da consumare entro) che rappresenta il limite oltre il quale il prodotto non deve essere consumato o il termine minimo di conservazione, TMC (da consumarsi preferibilmente entro il) che indica che il prodotto, oltre la data riportata, può aver modificato alcune caratteristiche organolettiche come il sapore e l’odore ma può essere consumato senza rischi per la salute. Conoscere la differenza tra data di scadenza e TMC può essere utile per evitare che un prodotto venga gettato quando ancora commestibile, riducendo gli sprechi.
  • Eventuali condizioni particolari di conservazione e/o condizioni d’uso per preservarne la freschezza e la qualità dopo l’apertura della confezione.
  • Istruzioni per l’uso qualora sia difficile fare un uso appropriato dell’alimento in assenza di tali istruzioni.
  • Nome o ragione sociale e indirizzo dell’operatore del settore alimentare con sede nell’UE o dell’importatore.
  • Paese d’origine o luogo di provenienza, se necessario per motivi di chiarezza nei confronti del consumatore (ad esempio: prodotti che espongono bandiere o monumenti famosi sull’imballaggio) e per altre clausole indicate nell’articolo 26.
  • Contenuto alcolico delle bevande (se superiore all’1,2%).
  • Dichiarazione nutrizionale: fornisce informazioni sulla quantità di calorie, grassi, proteine, carboidrati, sodio e altri nutrienti presenti in una porzione di prodotto. Può essere integrata con l’indicazione su acidi grassi monoinsaturi, acidi grassi polinsaturi, polioli, amido, fibre. L’indicazione del valore energetico è riferita a 100 g/100 ml dell’alimento, oppure alla singola porzione. Il valore energetico è espresso come percentuale delle assunzioni di riferimento per un adulto medio ossia circa 2000 kcal al giorno.

Etichette alimentari e i parametri da rispettare

Come specificato all’articolo 13, inoltre, è importante che queste informazioni siano inserite nel campo visivo principale, cioè il più probabile che sia visto a prima vista dal consumatore al momento dell’acquisto e che gli consente di identificare immediatamente un prodotto in termini di carattere o natura e, se del caso, di marchio. Inoltre, tali informazioni devono essere indelebili e stampate in modo chiaro e leggibile il che le rende visivamente accessibili alla popolazione generale. Al contrario, non devono essere nascoste, oscurate o limitate da altri elementi che possano interferire negativamente.

Oltre alle indicazioni obbligatorie, gli Stati membri possono adottare, secondo la procedura di cui all’articolo 45, misure nazionali che prescrivono indicazioni obbligatorie supplementari per tipi specifici di alimenti, se giustificato da almeno uno dei motivi chiaramente specificati (articolo 39, paragrafo 1): la tutela della salute pubblica; la protezione dei consumatori; la prevenzione delle frodi; la tutela dei diritti di proprietà industriale e commerciale, delle indicazioni di provenienza, delle denominazioni di origine controllata e la prevenzione della concorrenza sleale.

Quali prodotti non hanno l’obbligo di etichettatura?

I prodotti che sono esentati dall’etichetta nutrizionale sono: le acque destinate al consumo umano, comprese quelle che contengono come soli ingredienti aggiunti anidride carbonica e/o aromi, i prodotti non trasformati che contengono un solo ingrediente, le piante aromatiche, le spezie e loro miscele, così come anche il sale, gli edulcoranti da tavola, il caffè, i tè e le tisane, l’aceto in ogni sua tipologia, le gomme da masticare. Ne sono esentati anche quei prodotti la cui etichetta ha dimensioni inferiori a 25 cm2, ma anche gli alimenti sottoposti alla sola maturazione, come nel caso della frutta. Non hanno obbligo di etichetta nutrizionale anche gli aromi e gli additivi alimentari, come enzimi e lieviti.

Anche gli alimenti non preimballati (alimenti offerti in vendita al consumatore finale o alle collettività senza preconfezionamento, o alimenti confezionati nei locali di vendita su richiesta del consumatore o preimballati per la vendita diretta) sono esonerati dall’obbligo dell’etichettatura nutrizionale, ma devono fornire informazioni sulle sostanze e sui prodotti che provocano allergie o intolleranze presenti nel prodotto.

La comunicazione di altre indicazioni non è obbligatoria, a meno che gli Stati membri non adottino misure nazionali che prevedano la fornitura di alcune o di tutte le suddette indicazioni o elementi di tali indicazioni. Gli Stati membri possono inoltre adottare misure nazionali relative ai mezzi mediante i quali le indicazioni o gli elementi di tali indicazioni devono essere resi disponibili e, se del caso, alla loro forma di espressione e presentazione.

Chi controlla le etichette alimentari?

Le etichette alimentari sono controllate da agenzie governative che hanno il compito di regolamentare la produzione, la commercializzazione e la vendita di alimenti. A livello globale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e il Programma Alimentare Mondiale (PAM) lavorano per garantire la sicurezza e la qualità degli alimenti.

A livello nazionale, l’agenzia incaricata di controllare le etichette alimentari varia in base al paese. Negli Stati Uniti, ad esempio, l’agenzia incaricata è la Food and Drug Administration (FDA). In Europa, l’agenzia responsabile è l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA).

Queste agenzie stabiliscono le linee guida per la produzione e la commercializzazione degli alimenti, incluso ciò che deve essere incluso sulle etichette. Inoltre, monitorano e controllano gli alimenti sul mercato per garantire che le informazioni sull’etichetta siano corrette e che gli alimenti siano sicuri e di qualità. 

In Italia, le etichette alimentari sono controllate dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), entrambi enti pubblici sotto il controllo del Ministero della Salute. Queste agenzie hanno il compito di regolamentare la produzione, la commercializzazione e la vendita di alimenti e farmaci, e di garantire la sicurezza e la qualità degli stessi.

L’ISS e l’AIFA stabiliscono le linee guida per la produzione e la commercializzazione degli alimenti, incluso ciò che deve essere incluso sulle etichette alimentari. Inoltre, monitorano e controllano gli alimenti sul mercato per garantire che le informazioni sull’etichetta siano corrette e che gli alimenti siano sicuri e di qualità. In caso di violazioni o di problemi di sicurezza alimentare, l’ISS e l’AIFA possono emettere ordini di sospensione o di ritiro degli alimenti dal mercato.

La denominazione degli alimenti nelle etichette alimentari

La denominazione degli alimenti nelle etichette alimentari è il nome merceologico con cui un prodotto è commercializzato: è l’indicazione obbligatoria più importante e deve sempre essere corretta, precisa e non fuorviante, in grado di informare il consumatore sul contenuto del prodotto. Non dev’essere confusa né con il marchio aziendale, né con la denominazione commerciale (che è facoltativa e serve unicamente a qualificare meglio il prodotto).

Il Regolamento europeo specifica all’art. 17 che la denominazione dell’alimento “è la sua denominazione legale. In mancanza di questa, la denominazione dell’alimento è la sua denominazione usuale; ove non esista o non sia utilizzata una denominazione usuale, è fornita una denominazione descrittiva”.

La specifica del Regolamento europeo

La denominazione legale è la denominazione di un alimento prescritta dalle disposizioni dell’Unione a esso applicabili o, in mancanza di tali disposizioni, quella prevista dalle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative applicabili nello Stato membro nel quale l’alimento è venduto al consumatore finale o alle collettività.

Si ricorda che le norme che regolamentano le denominazioni legali, sia in ambito Ue che in quello nazionale, prevedono anche le relative definizioni e composizioni. Vi dev’essere, pertanto, esatto riscontro tra denominazione legale e definizione. La non corrispondenza della definizione o degli ingredienti non consente l’utilizzo della denominazione riservata, ma non vieta la fabbricazione del prodotto stesso, a condizione, evidentemente, che sia rispettata la sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti e che sia posto in vendita con un’altra denominazione.

Qualora non sia prevista la denominazione legale, sia essa di derivazione Ue o nazionale, si deve ricorrere alla denominazione usuale, consacrata da usi e da consuetudini, ad esempio “torrone”, “cotechino”, “biscotto”, “gelato” ecc. Prodotti conosciuti sul mercato nazionale con tali denominazioni, ma per i quali non esiste una specifica disciplina giuridica che ne tuteli il nome. Il produttore cerca di scegliere la denominazione più idonea a fornire al consumatore l’indicazione più dettagliata di ciò che quest’ultimo si accinge a comprare, anche per invogliarlo all’acquisto.

Qualora, infine, manchino sia la denominazione legale, che quella usuale, si deve utilizzare una denominazione descrittiva del prodotto, che come dice il nome descrive l’alimento ed è accompagnata, se necessario, da informazioni sul suo utilizzo, per consentire al potenziale acquirente di identificare univocamente la natura reale dell’alimento.

Molti termini stranieri sono oggi ampiamente diffusi, conosciuti, universalmente accettati e quindi, non necessitano di essere tradotti. Si pensi al termine “croissant”, utilizzato come denominazione di vendita di un prodotto da forno. Vi sono, poi, menzioni che non hanno corrispondenti nella lingua italiana e sono, pertanto, intraducibili: è il caso di “speck”, “hamburger”, ecc.

Nei casi in cui la denominazione non sia prevista dalla legge, perciò, il produttore può vantare una più ampia possibilità di scelta, influenzabile anche da politiche di marketing. In ogni caso, la denominazione dell’alimento non può essere sostituita con una denominazione protetta come proprietà intellettuale, marchio di fabbrica o denominazione di fantasia (Reg. UE 1169/2011 art. 17, c. 4).

Le denominazioni protette si differenziano dalle denominazioni dell’alimento (previste dalla normativa Ue o nazionale) per la registrazione del prodotto in appositi elenchi. I prodotti agricoli e alimentari protetti hanno caratteristiche uniche, derivanti dall’ambiente geografico ove sono ottenuti. Essi devono rispettare il disciplinare di produzione. L’etichettatura di tali prodotti è soggetta a specifica disciplina.

Con riferimento alla denominazione dell’alimento, si ricorda che essa “comprende o è accompagnata da un’indicazione relativa allo stato fisico in cui si trova il prodotto alimentare o al trattamento specifico da esso subìto (ad esempio: in polvere, concentrato, liofilizzato, surgelato, affumicato) in tutti i casi in cui l’omissione di tali informazioni possa indurre in errore l’acquirente” (All. VI, parte A del Reg. UE 1169/2011).

In alcuni casi, questa indicazione è prevista dalla normativa che disciplina determinati prodotti, come quella specifica degli alimenti surgelati e quella del latte. I prodotti che, per definizione o per consuetudine, sono commercializzati con un nome che richiama il particolare trattamento cui sono sottoposti, non necessitano dell’indicazione del trattamento.

Quali allergeni indicare nell’etichetta alimentare

Fra le informazioni che è obbligatorio riportare in etichetta vi è l’indicazione degli ingredienti o coadiuvanti tecnologici che possono provocare intolleranze o allergie alimentari e che vengono usati per la preparazione del prodotto. Devono essere indicati, ovviamente, solo nel caso in cui rimangano nel prodotto finito, anche se in forma alterata. Nel Regolamento (Allegato II) è presente un elenco di tutte le sostanze considerate allergeni.

Si tratta di:

  • Cereali contenenti glutine, vale a dire grano (tra cui farro e grano khorasan), segale, orzo, avena o i loro ceppi ibridati e prodotti derivati, tranne: sciroppi di glucosio a base di grano, incluso destrosio; maltodestrine a base di grano; sciroppi di glucosio a base di orzo; cereali utilizzati per la fabbricazione di distillati alcolici, incluso l’alcol etilico di origine agricola.
  • Crostacei e prodotti a base di crostacei.
  • Uova e prodotti a base di uova.
  • Pesce e prodotti della pesca, tranne: gelatina di pesce utilizzata come supporto per preparati di vitamine o carotenoidi; gelatina o colla di pesce utilizzata come chiarificante nella birra e nel vino.
  • Arachidi e prodotti a base di arachidi.
  • Soia e prodotti a base di soia, tranne: olio e grasso di soia raffinato; tocoferoli misti naturali (E306), tocoferolo D-alfa naturale, tocoferolo acetato D-alfa naturale, tocoferolo succinato D-alfa naturale a base di soia; oli vegetali derivati da fitosteroli e fitosteroli esteri a base di soia; estere di stanolo vegetale prodotto da steroli di olio vegetale a base di soia.
  • Latte e prodotti a base di latte (incluso lattosio), tranne: siero di latte utilizzato per la fabbricazione di distillati alcolici, incluso l’alcol etilico di origine agricola; lattitolo.
  • Frutta a guscio, vale a dire: mandorle (Amygdalus communis L.), nocciole (Corylus avellana), noci (Juglans regia), noci di acagiù (Anacardium occidentale), noci di pecan [Carya illinoinensis (Wangenh.) K. Koch], noci del Brasile (Bertholletia excelsa), pistacchi (Pistacia vera), noci macadamia o noci del Queensland (Macadamia ternifolia), e i loro prodotti, tranne per la frutta a guscio utilizzata per la fabbricazione di distillati alcolici, incluso l’alcol etilico di origine agricola.
  • Sedano e prodotti a base di sedano.
  • Senape e prodotti a base di senape.
  • Semi di sesamo e prodotti a base di semi di sesamo.
  • Anidride solforosa e solfiti in concentrazioni superiori a 10 mg/kg o 10 mg/litro in termini di SO2 totale da calcolarsi per i prodotti così come proposti pronti al consumo o ricostituiti conformemente alle istruzioni dei fabbricanti.
  • Lupini e prodotti a base di lupini.
  • Molluschi e prodotti a base di molluschi.

Date di scadenza e sicurezza delle etichette alimentari

La sicurezza degli alimenti è una preoccupazione costante per le agenzie di regolamentazione alimentare, come l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) in Italia, e la Food and Drug Administration (FDA) negli Stati Uniti. Queste agenzie monitorano gli alimenti sul mercato e possono emettere avvisi o richiamare prodotti alimentari per problemi di sicurezza.

È importante leggere attentamente le etichette alimentari per verificare le date di scadenza e per comprendere le informazioni sulle precauzioni e sulla sicurezza alimentare. In questo modo, i consumatori possono prendere decisioni informate sugli alimenti che acquistano e consumano, e possono evitare di consumare alimenti che potrebbero essere dannosi per la salute.

La data di scadenza è segnalata con la dicitura “da consumarsi entro” il che significa che tale data ha valenza tassativa, non si ammettono cioè deroghe e proroghe nell’utilizzo. La scadenza viene obbligatoriamente riportata sull’involucro esterno degli imballaggi dei prodotti preconfezionati rapidamente deperibili, come latte e prodotti lattieri freschi, formaggi freschi, pasta fresca, carni fresche e prodotti della pesca freschi. La data deve essere riportata in etichetta in modo chiaro e leggibile, con caratteri indelebili e in una posizione facilmente individuabile dal consumatore.

La data di scadenza deve indicare: il giorno, il mese e l’anno per i prodotti conservabili per meno di tre mesi (è questo il caso ad esempio di latte fresco, mozzarelle, yogurt ecc); solo il mese e l’anno per gli articoli conservabili per più di tre mesi ma per meno di 18; solo l’anno per alimenti come i pelati o le verdure in scatola conservabili per più di 18 mesi.

Etichette alimentari e i pericoli per la salute

Sulla confezione devono inoltre essere riportate le condizioni di conservazione ed eventualmente la temperatura che fa pendant con la data di scadenza. Se infatti i criteri di conservazione degli alimenti, intendendosi per tali anche la temperatura, non sono quelli indicati dal produttore, l’alimento potrebbe non arrivare integro alla data di scadenza con conseguenti rischi per chi lo dovesse assumere in cattivo stato di conservazione. Le modalità di conservazione assicurano infatti la salubrità e la durabilità del prodotto che altrimenti potrebbe essere esposto alla proliferazione di batteri.

La legge fa espresso divieto di vendere prodotti facilmente deperibili, con esposta la data di scadenza, a partire dal giorno successivo a quello indicato sulla confezione. Superata la data di scadenza, l’alimento può infatti costituire un pericolo per la salute a causa della proliferazione batterica. E’ inoltre prassi, ormai abbastanza diffusa, che i venditori applichino al prodotto prossimo alla scadenza, una scontistica eccezionale al fine di facilitarne la vendita, segnalando così, più o meno esplicitamente, anche l’imminenza della scadenza al compratore che sarà chiamato a consumare l’alimento in tempi brevissimi.

Termine minimo di conservazione (TMC): differenze rispetto alla data di scadenza

Il termine minimo di conservazione (TMC) è il caso in cui nell’etichetta viene riportata la seguente dicitura: “da consumarsi preferibilmente entro…”. Questo sta a significare che il margine di tolleranza per fare uso degli alimenti è più ampio rispetto alla data indicata. Dicitura che trova la sua ragione d’essere nella tipologia di prodotti a cui si applica, ossia quelli non soggetti a rapida deperibilità, come lo sono invece tutti i prodotti freschi, e che una volta “scaduti” non vengono generalmente considerati pericolosi per la salute, se ingeriti.

La data si compone dell’indicazione, nell’ordine, del giorno, del mese, e dell’anno, con le seguenti modalità:

  • per i prodotti alimentari conservabili per meno di 3 mesi, è sufficiente l’indicazione del giorno e del mese,
  • per i prodotti alimentari conservabili per più di 3 mesi ma non oltre 18 mesi, è sufficiente l’indicazione del mese e dell’anno,
  • per i prodotti alimentari conservabili per più di 18 mesi, è sufficiente l’indicazione dell’anno.

Superato il TMC è ancora possibile consumare il prodotto perché le sue proprietà organolettiche risultano variate, ma non avariate ma più ci si allontana dalla data di superamento del TMC più vengono meno i requisiti della qualità del prodotto senza dunque che venga intaccata quello della sicurezza.

Esistono prodotti esenti da indicazioni di scadenza o TMC. Nello specifico, prodotti ortofrutticoli freschi (a meno che non siano sbucciati o tagliati), vini, aceto, superalcolici, sale da cucina e zucchero (allo stato solido), prodotti da forno come pane, focacce, prodotti di pasticceria freschi, gomme da masticare. Lo stesso dicasi per i prodotti da banco (salumi e formaggi venduti all’interno di supermercati e ipermercati dove si deve indicare semplicemente la temperatura di conservazione dell’alimento).

Le violazioni commesse in materia di termine minimo di conservazione, data di scadenza e congelamento comporta per il soggetto responsabile l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria che può variare da un minimo di 1000 euro ad un massimo di 8000 euro. La sanzione è poi destinata a salire fino a 16.000 euro se la violazione è stata commessa con riferimento a specifiche tipologie di prodotti (quali carni e prodotti della pesca). Del pari sanzionabile è il venditore che espone in vendita il prodotto ormai scaduto; si va da un minimo di 5000 euro ad un massimo di 40.000 euro.

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