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Food Sustainability Index 2021: Italia sulla buona strada, riferimento per la lotta allo spreco alimentare

Prodotto da Economist Impact con il supporto di Fondazione Barilla, il Food Sustainability Index (FSI) 2021 valuta la sostenibilità del sistema alimentare di 78 Paesi secondo 3 pilastri: perdita e spreco alimentare, agricoltura sostenibile e sfide nutrizionali. La quarta edizione pone Svezia, Giappone, Canada, Finlandia e Austria ai vertici con i sistemi alimentari più sostenibili al mondo. L’Italia si difende bene conquistando il secondo posto in graduatoria nella lotta a food loss and waste

Pubblicato il 24 Feb 2022

Food Sustainability Index 2021

Nella lotta volta ad arginare il grande problema legato agli sprechi alimentari, l’Italia continua a registrare una performance positiva. Il nostro Paese è al primo posto per le azioni intraprese contro il food waste, mentre nella filiera produttiva perde “solo” il 2% del cibo (food loss). A decretarlo è la quarta edizione del Food Sustainability Index (FSI), elaborato da Economist Impact con il supporto della Fondazione Barilla Centre for Food and Nutrition (BCFN), che dal 2016 esamina le prestazioni in termini di sostenibilità dei sistemi alimentari globali attraverso tre pilastri – perdita e spreco di cibo, agricoltura sostenibile e sfide nutrizionali – e propone best practices che possano rappresentare un modello virtuoso da seguire.

Questa volta, gli indicatori legati a temi sociali, ambientali ed economici utilizzati sono stati 38, 18 in più rispetto alla prima edizione; e se allora i Paesi analizzati ammontavano a 25, ora quelli presi in esame sono stati 78, che coprono circa il 92% del PIL e della popolazione globale. Sicuramente, un fattore determinante da tenere in considerazione quando si guarda ai dati raccolti nel FSI 2021 è la pandemia che ha avuto un impatto non trascurabile sulla supply chain agroalimentare, evidenziando ancor di più l’importanza e l’urgenza di indirizzare l’intero food system verso una sostenibilità che sia effettivamente concepita e realizzata da tutti gli attori, dal campo sino alla tavola.

Dalla capacità di ridurre l’enorme quantità di cibo che viene sprecato, con tutti i costi legati anche alla raccolta e allo smaltimento stesso di questi prodotti; alla capacità di accelerare lo sviluppo di pratiche agricole attente alla gestione delle risorse (acqua e suolo) e alle emissioni di CO2; e non ultimo e non meno importante, alla sfida di indirizzare abitudini alimentari, comportamenti e scelte quotidiane verso diete che sappiano trovare una sintesi tra necessità nutrizionali in termini di calorie, qualità alimentare e sostenibilità.

performance food sustainability index

Ai G20 la responsabilità di guidare la trasformazione del sistema agroalimentare

Una prima analisi dell’FSI 2021 è stata condotta sui Paesi del G20, vale a dire sulle nazioni economicamente più sviluppate del pianeta, i cui cittadini ogni anno sprecano oltre 2 tonnellate di cibo pro-capite. Una quantità di risorse alimentari che, non solo potrebbe contribuire a risolvere il problema della fame in altri paesi o per altri soggetti meno fortunati nei confini stessi dei G20, ma che rappresenta anche un costo sempre più rilevante in termini di raccolta e di smaltimento.

I G20 rappresentano l’80% del PIL mondiale ma nello stesso tempo hanno sulle spalle la responsabilità di produrre il 75% delle emissioni globali di gas serra. I sistemi alimentari producono, alle condizioni attuali, il 37% delle emissioni di gas serra e sono concepiti e gestiti ancora con criteri che richiedono un grande effort in termini di consumo di energia che in larghissima misura è ancora ampiamente esposta sull’uso di combustibili fossili. A questo “peso” si deve aggiungere che il settore agricolo da solo utilizza il 70% delle risorse idriche.

La sostenibilità alimentare del pianeta passa da scelte che attengono ai comportamenti, alla capacità di ripensamento delle filiere produttive e alle prospettive con cui questi paesi scelgono di indirizzare il sistema agricolo verso principi di sostenibilità considerando che in questi paesi risiede il 60% della superficie agricola a livello worldwide. La capacità dei sistemi alimentari dei paesi dei G20 di rispondere alla domanda di cibo e contemporaneamente, alla altrettanto importante domanda di agire per uno sviluppo sostenibile sono due fattori centrali per guidare la transizione ecologica globale.

La Dichiarazione di Matera adottata dal G20 per affrontare i temi della sicurezza alimentare globale impone una strategia e un impegno sui tre grandi pilastri del Food System che sono poi al centro dell’analisi del Food Sustainability Index: vale a dire l’analisi dello spreco alimentare, il monitoraggio degli sviluppi in termini di agricoltura sostenibile e la capacità di affrontare e vincere le sfide nutrizionali e dunque di agire sui comportamenti delle persone.

E mentre il mondo si muove per agire su obiettivi climatici urgenti e abbracciare un’agenda per food systems sostenibili, il tutto mentre continuiamo a superare gli effetti del Covid-19, i risultati del FSI danno lezioni comuni su come affrontare al meglio le sfide chiave dei sistemi alimentari dai paesi di tutto il mondo.

classifica generale food sustainability index

La classifica generale del Food Sustainability Index

Nella classifica generale del Food Sustainability Index, l’Italia si posiziona al sedicesimo posto, tra i Paesi più virtuosi. I primi tre sono Svezia, Giappone e Canada. Come gruppo, i top performer del FSI hanno risultati e politiche forti in tutti e tre i pilastri, ma in particolare in food loss and waste e nelle sfide nutrizionali. I paesi nel quartile superiore hanno ottenuto buoni risultati sugli indicatori chiave dell’indice, tra cui: obiettivi di spreco alimentare, istituzioni private, diritti fondiari formali, finanziamenti pubblici e istituti di ricerca per l’innovazione agricola, prevalenza della denutrizione e accessibilità economica di diete sane e sostenibili.

Le principali sfide affrontate dalla società di oggi sono profondamente intrecciate con i sistemi alimentari. I paesi che ottengono buoni risultati nel FSI ottengono risultati positivi anche su indicatori sociali ed economici come lo sviluppo umano, i progressi nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile, i livelli di reddito, l’uguaglianza di genere, la spesa sanitaria e l’istruzione superiore. Raggiungere lo sviluppo umano ed economico o correggere le disuguaglianze sociali può avere benefici per la sostenibilità alimentare e viceversa. Queste relazioni sottolineano l’importanza di un approccio basato sui sistemi che si allontana dal pensiero in silos.

Del resto, i sistemi alimentari sostenibili sono una componente fondamentale dei 17 SDG previsti dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite ed è anche in questa prospettiva che il ruolo dei paesi più virtuosi può e deve essere letto come capacità di guidare il cambiamento anche grazie alla capacità di trasformazione che questi paesi stanno affrontando in termini di lotta ai cambiamenti climatici, di riduzione della fame, della povertà per garantire anche livelli adeguati di sicurezza alimentare.

L’Italia dà il buon esempio per quanto riguarda l’eliminazione degli sprechi domestici

classifica spreco alimentare food sustainability index

Nella lotta agli sprechi alimentari, oltre all’Italia in seconda posizione, il Canada conquista il primo posto, seguono al terzo la Germania e al quarto il Giappone.
A livello mondiale, le perdite di cibo tra i primi 20 classificati non superano il 3% della produzione alimentare totale, rispetto alla media generale del 6%  e tutti i paesi tranne due hanno strategie per contrastare la perdita di cibo lungo tutta la catena.
Anche i livelli di spreco alimentare domestico sono inferiori alla media FSI di 85 kg pro capite all’anno in tutti i paesi tranne 2 di questi 20 (Australia e Portogallo), ma c’è ancora spazio per miglioramenti.

Nel nostro Paese, in particolare, il Food Sustainability Index stima che lo spreco pro capite annuo a livello domestico sia di circa 67 Kg, mentre la media di rifiuti sprecati tra le mura di casa è di 85 kg pro capite in quasi 40 Paesi del FSI. Lo spreco nella ristorazione ammonta invece a circa 26 Kg mentre nella distribuzione è di circa 4 Kg pro capite l’anno e nella filiera produttiva 2 Kg.

“L’Italia è sulla buona strada e, nella lotta allo spreco alimentare, che a livello globale riguarda un terzo del cibo prodotto, possiamo essere presi come riferimento dal resto del mondo” dichiara Marta Antonelli, Direttrice della Ricerca della Fondazione Barilla “Per quanto riguarda gli sprechi alimentari dal campo alla tavola (che include la food loss), l’Italia è infatti al secondo posto dopo il Canada, anche grazie a iniziative, strategie e politiche che hanno agito per contrastare il fenomeno. Tra queste, la Legge Gadda che ha facilitato, anche tramite agevolazioni fiscali, la donazione delle eccedenze alimentari alle Onlus”. Un intervento normativo che solo nel primo anno dell’ entrata in vigore della legge (2016-2017), ha portato un +21% di donazioni di cibo alle Onlus.

Il rapporto del Food Sustainability Index evidenzia che: se lo spreco alimentare (food waste) è un problema globale che colpisce i Paesi di tutto lo spettro di reddito, la perdita di cibo (food loss) colpisce in modo più importante i Paesi a basso reddito “dove le lacune infrastrutturali e l’accesso non uniforme all’elettricità rendono difficile conservare e trasportare il cibo in modo sicuro”, si legge nel FSI. “Nei paesi in cui la perdita di cibo è elevata, le terze parti sono attive nel fornire soluzioni di stoccaggio sicuro, ma l’azione del governo è carente”.

Le perdite e gli sprechi alimentari devono essere affrontati utilizzando l’approccio Target, Measure, Act che combina una gamma completa di approcci politici da angolazioni legislative, finanziarie e strategiche e riunisce una varietà di attori.

Sustainable agriculture: c’è ancora da fare per ridurne l’impatto

Poi c’è l’agricoltura sostenibile in cui – stando al rapporto – ci sono ancora ampi margini di miglioramento: per esempio, meno del 50% di tutti i Paesi analizzati sta inserendo il tema dei cambiamenti climatici nelle loro politiche agricole.

I Paesi con i risultati migliori in questo pilastro includono Finlandia, Estonia, Austria, Tanzania e Svezia. Come si legge nel report, a fare la differenza sono le iniziative politiche che affrontano le questioni chiave della gestione sostenibile: dalla gestione dell’acqua all’incoraggiamento degli investimenti del settore privato nell’agricoltura sostenibile.

Non a caso, i Paesi che hanno ottenuti i migliori risultati un questo ambito sono quelli che hanno investito di più in ricerca e sviluppo, il che può sostenere sforzi di innovazione più sostenibili in agricoltura. Stabilire le politiche giuste è un primo passo cruciale, ma queste politiche devono essere monitorate nel tempo e collegate a chiari obiettivi quantitativi per garantire che si traducano in risultati misurabili, in particolare per quanto riguarda la riduzione dello stress idrico di base, dell’uso di pesticidi e fertilizzanti e delle emissioni di gas serra.

È da notare come alcuni Paesi a reddito medio-basso nella classifica del Food Sustainability Index — quali la Costa d’Avorio, la Nigeria e lo Zimbabwe — stiano dando l’esempio su come integrare meglio l’azione per il clima nelle attività agricole. Tuttavia, alcuni dei più grandi emettitori totali di gas serra (GHG) agricoli nell’Indice stanno fallendo su questo fronte.

In Italia la “pressione sulle risorse di acqua di superficie e di falda per la produzione alimentare” è piuttosto alta; per questa ragione attualmente il nostro score appare abbastanza in linea con la media mondiale: 65,8 contro il punteggio medio di 70,3. Le politiche e iniziative in atto per promuovere l’irrigazione sostenibile però, fanno ben sperare per il futuro, in linea anche con il recente Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che contiene una sezione dedicata alla “Tutela del Territorio e delle Risorse Idriche”, nonché obiettivi specifici per l’efficienza delle risorse idriche nel settore agricolo.

Per molti paesi a basso e medio reddito, diete sane e sostenibili sono inaccessibili

Ancora una volta, i Paesi ad alto reddito affrontano sfide diverse rispetto ai Paesi a basso reddito: se nei primi i problemi riguardano principalmente l’ipernutrizione e la scarsa composizione della dieta; nei Paesi a basso reddito i principali temi da affrontare riguardano la malnutrizione, la bassa aspettativa di vita e gli alti tassi di mortalità.

Secondo il Food Sustainability Index, “I top performer di questo ambito stanno iniziando a rafforzare il nesso tra diete e sostenibilità, ma per i Paesi a reddito basso e medio-basso, l’accessibilità economica alle diete sane e sostenibili rappresenta un ostacolo significativo che è difficile da superare”. Garantire che queste diete siano accessibili in tutto il mondo sarà un primo passo cruciale. Laddove queste diete sono convenienti, i paesi devono fare il passo successivo e incorporare le preoccupazioni sulla sostenibilità nelle loro raccomandazioni dietetiche.

Inoltre, la sovranutrizione e la denutrizione non si escludono a vicenda. Per alcuni Paesi del rapporto, a prevalere è la malnutrizione: Argentina, Colombia, Egitto, Giordania, Libano, Messico, Marocco e Arabia Saudita sono tutti agli ultimi 40 posti per la prevalenza di sovrappeso nei bambini e negli adulti e di denutrizione.

Una dieta sana e sostenibile è accessibile in tutti i Paesi top performer tranne uno dei più performanti, la Cina, l’unico Paese a reddito medio-alto del gruppo. Nonostante ciò, l’impatto ambientale delle diete in questi Paesi — che si calcola a partire dall’impronta idrica del consumo — è leggermente superiore alla media. La Cina è ancora una volta un’eccezione. Nonostante l’elevato stress idrico di base, l’impronta idrica del consumo è significativamente al di sotto della media, il che la rende uno dei 10 top performer nell’ambito.

Tuttavia, più della metà dei top performer deve ancora incorporare la sostenibilità nelle politiche nutrizionali. Dei 15 paesi del FSI in generale che lo fanno, 7 sono i migliori in questo pilastro. I top performer stanno quindi aprendo la strada in questo senso, ma possono ancora fare di più per garantire che le raccomandazioni dietetiche tengano conto degli impatti ambientali.

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