Grano duro, il raccolto crolla nonostante l’aumento degli ettari coltivati

I terreni dedicati al grano duro sono cresciuti di 40 mila ettari, ciononostante la produzione italiana nel corso del 2022 ha subito un calo di 1,5 milioni di quintali su base annua. CAI consiglia di incrementare la produzione italiana di qualità per non dipendere troppo dalle importazioni di grano dall’estero

Pubblicato il 26 Ott 2022

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Cambiamento climatico, caro energia e conseguente aumento dei costi dei concimi sono i responsabili del paradosso che opprime il grano duro nel 2022: nonostante l’incremento di 40mila ettari coltivati, nel 2022 la produzione di grano duro italiana è calata di 1,5 milioni di quintali rispetto all’anno scorso. A rivelarlo, in occasione del World Pasta Day, è CAI (Consorzi Agrari d’Italia) che, con quasi 9 milioni di quintali di cereali stoccati e gestiti, rappresenta la prima realtà organizzata della produzione nel nostro Paese.

Di fatto, la capacità produttiva dello Stivale è stata mutilata dall’imperversare della siccità e poi colpita dai rincari delle bollette energetiche (basti pensare, in questo contesto, che le aziende cerealicole sono in assoluto quelle che hanno subito l’incremento più salato) e dall’aumento dei costi dei concimi.

L’imperativo è aumentare la produzione italiana di qualità di grano duro

In base alle stime CAI, su dati Istat, negli ultimi sei anni l’Italia ha perso circa 35mila ettari di terreno coltivati a grano duro. Il rialzo dei prezzi dei prodotti agricoli, con il grano duro che oscilla tra 480 e 500 euro a tonnellata secondo le rilevazioni della Borsa Merci di Bologna, caro energia e incertezza internazionale derivanti dalla guerra in Ucraina non lasciano tranquilli gli agricoltori, vista la previsione di un leggero calo (-1,4%) delle superfici seminate nel 2022.

Secondo Consorzi Agrari d’Italia, è necessario lavorare per aumentare la produzione italiana di qualità, anche attraverso investimenti lungo tutta la filiera, al fine di evitare che il nostro Paese continui a dipendere troppo dalle importazioni di prodotto dall’estero.

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