L'intervista

dpixel, Azzalin: “Open innovation opportunità per l’agrifood italiano”

Il ceo del venture incubator di gruppo Sella: “Con la call AG 4 future food puntiamo a mettere in contatto le startup più promettenti con aziende già affermate. Per dare vita a modelli di business vincenti e contribuire a modernizzare l’intera filiera”

Pubblicato il 05 Apr 2023

Stefano Azzalin dpixel

Individuare e sostenere startup in grado di sviluppare soluzioni e tecnologie innovative, economicamente sostenibili, accessibili ed efficienti nell’ambito della filiera agroalimentare. E’ questo l’obiettivo del programma internazionale di accelerazione per startup “AG 4 future food”. A promuoverlo è dpixel, venture incubator del gruppo Sella, che punta con questa iniziativa a valorizzare l’innovazione applicata all’agricoltura e all’alimentazione, dall’impiego dei robot al ciclo di vita degli alimenti confezionati, dall’ottimizzazione della logistica all’uso dei big data, dalla progettazione di nuovi sapori a un utilizzo sostenibile delle risorse naturali. A illustrare la vision di dpixel sull’agrifood è il Ceo Stefano Azzalin, che in questa intervista ad Agrifood.tech spiega come è nato e come si è sviluppato nel tempo il progetto.

Azzalin, cosa vi ha portato a focalizzare l’attenzione sull’agroalimentare?

Abbiamo affrontato il tema da due punti di vista. Il primo, molto concreto, riguarda la nostra mission di venture incubator, ovvero di portare a maturità le startup che consideriamo promettenti per i verticali su cui decidiamo volta per volta di focalizzarci. I nostri progetti partono quando c’è un sistema produttivo o industriale pronto o interessato all’innovazione, il nostro approccio è quindi agnostico rispetto ai singoli settori. Nell’agroalimentare abbiamo individuato una serie di potenzialità significative: si tratta, infatti, di un comparto che rappresenta le eccellenze del Made in Italy, che sta attraversando una fase di cambiamento e da cui proviene una forte richiesta di modernizzazione.

E il secondo punto di vista?

E’ quello più alto e valoriale, importante tanto quanto l’aspetto di business: per noi la filiera dell’agrifood va interpretata nei suoi input e nei suoi output. Gli input sono la terra, l’aria e l’acqua: risorse da salvaguardare perché sono scarse e minacciate dall’inquinamento e dal global warming. Rispetto a questi temi nessuno si può più girare dall’altra parte, perché ne va della sopravvivenza dell’umanità. Se non faremo qualcosa in tempi brevi si rischia il disastro, e ogni azienda è chiamata a un’assunzione di responsabilità. Allo stesso modo è fondamentale anche l’output, perché parliamo del cibo, un elemento cardine per la sopravvivenza dell’essere umano sul pianeta. Noi come gruppo Sella siamo molto sensibili su questi temi, e vogliamo viverli come opportunità di innovazione e non come problemi. Per la sostenibilità della filiera dell’agrifood abbiamo deciso di mettere a disposizione le nostre metodologie e le competenze della nostra rete di partner, individuando nell’ecosistema delle startup un cardine nella ricerca di soluzioni utili per il miglioramento dell’intera filiera produttiva dell’agrifood.

Come vi siete mossi per arrivare a definire “AG 4 future food”?

Abbiamo cercato di creare un’integrazione tra il nostro metodo di lavoro come venture incubator e il know-how di quattro importanti partner che, con sguardo internazionale, ci accompagnano in questo progetto. Aziende del calibro di La Doria, D’Amico, Pastificio Di Martino e Besana, che insieme arrivano a cubare oltre due miliardi di euro di fatturato, alle quali affianchiamo partner tecnici e di ecosistema. E’ il caso del Cgiar, un partenariato globale che gestisce circa un miliardo di dollari per la ricerca grazie alla sua rete di oltre 8 mila ricercatori nel mondo, e di alcuni fondi di investimento internazionali, verticali sull’Agrifood. In ciascuna delle cinque startup che verranno selezionate alla fine del percorso di scouting investiremo 100mila euro e metteremo a disposizione le nostre competenze e la rete. Lo scopo finale è di offrire nuove opportunità alle startup più promettenti e attivare interazioni con i player sul mercato potenzialmente interessati alle loro soluzioni.

Quale ruolo si può ritagliare l’Italia nel campo dell’innovazione per l’agroalimentare?

L’agrifood è tradizionalmente uno dei principali settori economici nazionali, con eccellenze che ci vengono riconosciute in tutto il mondo. La maggior parte della produzione va all’estero, e questo contribuisce a far ottenere all’Italia una grande risonanza internazionale. Certo, ci sono alcune criticità e nodi da sciogliere, che riguardano ad esempio il mondo del lavoro, l’utilizzo degli Ogm, i “nuovi alimenti” o il fenomeno dell’Italian Sounding, che vengono vissuti spesso come una minaccia alle tradizioni enogastronomiche. Inoltre, non si può purtroppo sfuggire al fatto che nel 2035 la Terra raggiungerà una popolazione di oltre 10 miliardi di abitanti, e che sarà necessario garantire a tutti nutrimento. Ritengo, quindi, sia il caso di concentrarsi con attenzione sull’ottimizzazione della filiera agroalimentare nel nostro Paese, andando in profondità per offrire nuove opportunità di innovazione ai singoli fornitori, anche ai più piccoli, e non soltanto ai grandi brand riconosciuti globalmente.

Torniamo così al tema “culturale”, che spesso viene messo in secondo piano…

Non c’è dubbio che serve uno sforzo culturale per comprendere appieno le opportunità dell’innovazione e della digitalizzazione. La tecnologia, infatti, può svolgere un ruolo centrale anche nei processi, nella distribuzione, nella logistica, nel packaging. La sfida del futuro sarà di continuare a produrre e a distribuire cibo di qualità, ma con una maggiore attenzione agli elementi di sostenibilità ambientale, di impatto sul mondo del lavoro, di inclusività.

Sapendo che la tradizione è un valore, ma che sarà importante anche venire incontro alle abitudini e ai trend internazionali. Perché ormai più della metà delle persone, prima di fare un acquisto, presta attenzione alle indicazioni che trova sulle etichette, al packaging e a tutta una serie di elementi che fino a qualche anno fa sembravano secondari.

La sensibilità sui temi del consumo consapevole è diventata un fenomeno di massa, e chi non si adegua rischia di pagare in termini di competitività. Storicamente l‘Europa non ha colossi digitali come quelli che sono sorti in Asia o in America, è difficile pensare di essere competitivi in quell’ambito con Google o con Amazon sul loro campo.

Ma nel food, se vogliamo prendere come esempio l’Italia, la situazione è ben diversa, e abbiamo tutte le carte in regola per affermarci su scala globale. Per ottenere questo risultato potranno essere utili tecnologie come l’innovative food e l’agribiotechnology, la robotica e l’automazione, l’utilizzo dei dati e la logistica di ultima generazione.

Che risultato vi aspettate da questa call?

Oltre i temi ambientali e finanziari, c’è un altro aspetto che considero fondamentale: vorremmo contribuire a far passare l’idea che grazie all’open innovation, e quindi alla collaborazione tra le startup e le imprese più grandi e solide, sia possibile dare un boost di competitività al comparto agroalimentare italiano. E’ necessario perciò aiutare le startup a essere longeve e a sviluppare progetti di business validi se non vogliamo perdere competitività: non si tratta soltanto di tecnologia, ma soprattutto di metodologia dell’innovazione. Ci piacerebbe contribuire a dimostrare che utilizzando l’open innovation si ottengono risultati migliori e più rapidi, ed è più semplice identificare nuovi business e farli sviluppare. Negli accordi che abbiamo con i nostri partner, c’è la volontà di trasmettere le innovazioni più promettenti anche lungo la filiera, in una vera e propria logica di network.

Come si inserisce la vostra attività nel campo più ampio dei venture capital?

Noi abbiamo una peculiarità: siamo acceleratori. Non prendiamo le startup quando le loro idee sono già mature, ma le affianchiamo e lavoriamo a stretto contatto con loro fin dalle prime fasi, quando probabilmente sono più fragili e hanno più bisogno di supporto. E’ il momento in cui la loro creatività esprime il meglio di sé, quando non hanno ancora vincoli stringenti con altri soci e sono più disposte ad ascoltare i consigli e magari a cambiare leggermente il loro piano o la loro visione per incontrare meglio le esigenze del mercato. Devo dire che si tratta oggi di un mondo in fermento, ma che ha molta più consapevolezza rispetto soltanto a pochi anni fa. Nel settore si stanno concentrando molti investimenti, sia istituzionali sia privati, dall’Italia e dall’estero, ma questa dinamica riguarda soprattutto le startup più mature e avviate, mentre gli strumenti finanziari che servono a sostenere la prima fase, quella più rischiosa, sono ancora pochi e molto selettivi.

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