Quando occorre indicare il paese d’origine nelle etichette alimentari; dalla normativa al consumatore

Con l’entrata in vigore il 1° Aprile 2020 del Reg. UE 775/2018, l’obbligo di indicare l’origine sulle etichette degli alimenti diventa più flessibile. Anche su richiesta del consumatore, che si è chiaramente espresso in materia, l’Italia ha prorogato tale obbligo per alcuni alimenti fino al 31 dicembre 2021. Ricapitoliamo, al riguardo, l’attuale normativa facendo chiarezza sul tema

Pubblicato il 25 Nov 2020

Chiara Ponti

Avvocato - Legal Compliance, Privacy & Diritto delle nuove tecnologie

Fulvia Rosso

PPhD in Scienze Agrarie, Forestali ed agroalimentari

etichette alimentari

Fonti: il panorama europeo e nazionale

La normativa sulle etichette alimentari è disciplinata da diverse fonti sia nazionali che europee. In questa sede, ci limitiamo tuttavia a illustrare soltanto quelle che concernono la obbligatorietà o meno dell’indicazione del Paese d’origine.

Normativa Europea

A livello europeo la fonte primaria è costituita dal Regolamento europeo 1169/2011 del 25 ottobre 2011 in ordine alla “fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori”.

A ciò, il 28 maggio 2018 è seguito il Regolamento di esecuzione (UE) n. 2018/775  recante le modalità di applicazione dell’art. 26, par. 3, del citato Regolamento in materia di indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza dell’ingrediente primario con riferimento ad un alimento.

Nella ricostruzione del panorama normativo, con riferimento al solo elemento di cui all’indicazione geografica si annoverano le seguenti fonti:

contenente la indicazione obbligatoria del paese d’origine o del luogo di provenienza degli alimenti non trasformati, dei prodotti a base di un unico ingrediente e degli ingredienti che rappresentano più del 50% di un alimento.

Normativa nazionale

Ricostruito il quadro normativo sovranazionale, sempre in riferimento all’obbligo di indicare l’origine in etichetta, rappresentiamo ora quello italiano.

La prima fonte risale agli anni ’90 ed in particolare al D.lgs. 27 gennaio 1992, n. 109 in recepimento alle direttive n. 89/395/CEE e n. 89/396/CEE concernenti “l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari”.

Successivamente, il nostro Legislatore con il D.lgs. 15 dicembre 2017, n. 231  ha voluto disciplinare le sanzioni relativamente alla violazione di cui alle disposizioni del Regolamento (UE) n. 1169/2011 nonché ad adeguare le disposizioni del D.lgs. n. 109/1992 disponendo a tutela del consumatore le modalità di indicazione obbligatoria degli allergeni per i prodotti non preimballati e per gli alimenti serviti dalle collettività.

Segnaliamo ancora, per completezza, che diverse Circolari emanate dal Mise chiariscono, a livello interpretativo, alcune delle disposizioni contenute ora nel Regolamento UE 1169/2011 ora nel Decreto 109/1992 così come le Note informative che lo stesso Ministero ha emanato con particolare richiamo alla Nota Mise prot. n. 0018169 del 28 luglio 2014 – Paesi d’origine e luogo di provenienza.

Citiamo ancora — poiché recenti — due decreti ministeriali susseguitisi in questi mesi i quali prorogano l’obbligatorietà della indicazione in etichetta, fino al 31 dicembre 2021, dell’origine degli alimenti:

  • il Decreto Ministeriale del 1° aprile 2020 firmato da Patuanelli e Bellanova che proroga l’obbligo di indicare «…il paese d’origine, in etichetta, del grano duro per paste di somale, di grano duro, del riso e dei derivati del pomodoro». Per precisione indichiamo anche i decreti origine e nello specifico, con riferimento al grano, alla pasta il Decreto 26 luglio 2017 ed al riso il Decreto 26 luglio 2017, mentre sui pomodori ed i derivati il Decreto 16 novembre 2017;
  • il Decreto Ministeriale del 22 luglio 2020 di proroga dell’indicazione dell’origine in etichetta della materia prima per il latte ed i prodotti lattiero caseari il cui Decreto origine è dato dal Decreto del 9 dicembre 2016.

Vista poi l’attuale emergenza sanitaria, lo scorso 23 aprile, il MISE ha emesso la Circolare n. 0108129/2020 con la quale vengono introdotte misure temporanee di supporto alle imprese circa i nuovi obblighi di etichettatura alimentare.

Da ultimo, segnaliamo il Decreto del 6 agosto 2020 che stabilisce le indicazioni obbligatorie in etichetta del luogo provenienza delle carni suine trasformate, entrato in vigore recentissimamente (il 15 novembre 2020) ed in via sperimentale fino al 31 dicembre 2021.

Cosa cambia, un commento alla normativa vigente

Con l’entrata in vigore il 1° di Aprile 2020 del Regolamento esecutivo (UE) 775/2018 — recante modalità di applicazione dell’art. 26, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 1169/2011— è decaduto l’obbligo di indicare in etichetta l’origine di alcuni prodotti alimentari o il luogo di provenienza.

Secondo detta normativa tale obbligo si applica solo «…nel caso in cui l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore in merito al paese d’origine o al luogo di provenienza reali dell’alimento, in particolare se le informazioni che accompagnano l’alimento o contenute nell’etichetta nel loro insieme potrebbero altrimenti far pensare che l’alimento abbia un differente paese d’origine o luogo di provenienza» (art. 26 par. 2).

Detto altrimenti, occorre indicare l’origine delle materie prime ogni qualvolta (sussista il rischio che) il consumatore possa essere tratto in inganno da diciture, illustrazioni, simboli o termini sulla confezione riferentesi a luoghi geografici.

Poniamo per esempio che su di un pacco di biscotti vi sia un simbolo rappresentativo dell’Italia (come il Tricolore) e la materia utilizzata per realizzarli non sia anch’essa italiana, il produttore ha il dovere di indicare il luogo di provenienza della materia prima in etichetta, mentre, in caso contrario no.

Ancora, altro presupposto per il quale corre d’obbligo segnalare detta origine sussiste quando «…il paese d’origine o il luogo di provenienza di un alimento è indicato e non è lo stesso di quello del suo ingrediente primario.» (art. 26 par. 3)

In proposito, per “ingrediente primario”, si deve intendere «l’ingrediente o gli ingredienti di un alimento che rappresentano più del 50% di tale alimento o che sono associati abitualmente alla denominazione di tale alimento dal consumatore e per i quali nella maggior parte dei casi è richiesta un’indicazione quantitativa».

Ciò significa che, ad esempio, un pacco di caffè la cui miscela sia costituita per più del 50% da materia prima di origine brasiliana, ma lavorata e prodotta in Italia, sussiste l’obbligo di indicare l’origine dell’ingrediente primario solo se sulla confezione compaia la dicitura “origine italiana” del caffè.

Tale commentata disposizione normativa, tuttavia, non si applica agli alimenti a marchio registrato e a quelli aventi una denominazione di origine quali Dop, Igp e Stg.

Circa l’indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza dell’ingrediente primario come previsto dal Regolamento di esecuzione UE 775/2018, all’art. 2, lett. a) occorre indicare «con riferimento a una delle seguenti zone geografiche:

  1. i) «UE», «non UE» o «UE e non UE»; o
  2. ii)  una regione o qualsiasi altra zona geografica all’interno di diversi Stati membri o di paesi terzi, se definita tale in forza del diritto internazionale pubblico o ben chiara per il consumatore medio normalmente informato; o
  3. iii)  la zona di pesca FAO, o il mare o il corpo idrico di acqua dolce se definiti tali in forza del diritto internazionale o ben chiari per il consumatore medio normalmente informato; o
  4. iv)  uno o più Stati membri o paesi terzi; o
  5. v)  una regione o qualsiasi altra zona geografica all’interno di uno Stato membro o di un paese terzo, ben chiara per il consumatore medio normalmente informato; o
  6. vi)  il paese d’origine o il luogo di provenienza, conformemente alle specifiche disposizioni dell’Unione applicabili agli ingredienti primari in quanto tali;

oppure attraverso una dicitura del seguente tenore:

«(nome dell’ingrediente primario) non proviene/non provengono da (paese d’origine o luogo di provenienza dell’a­limento)» o una formulazione che possa avere lo stesso significato per il consumatore».

Sembrerebbe, dunque, una normativa più flessibile, salvo che per certi alimenti sulla quale viene mantenuto l’obbligo di indicazione dell’origine, quali; miele, uova, carne bovina, prodotti ortofrutticoli, olio d’oliva e prodotti della pesca. Nell’ottica di uniformare le etichette alimentari sul territorio europeo, lo sforzo normativo se da un lato si pone in maniera meno restrittiva per l’origine degli alimenti, dall’altro può rappresentare un valido strumento per contrastare il fenomeno dell’italian sounding food. Questa pratica consiste nell’utilizzo di parole/immagini/riferimenti geografici evocativi dell’Italia su prodotti commercializzati, per il vero, non “made in Italy”.

Col che, proprio per difendere determinati prodotti alimentari per cui si sarebbe potuta perdere l’obbligatorietà di indicare l’origine della materia prima in etichetta, i rispettivi ministri Bellanova e Patuanelli hanno firmato il decreto di proroga, fino al 31 dicembre 2021, per fare salve le etichette particolareggiate in termini geografici salvaguardando i precedenti decreti origine per alimenti come latte e derivati, pasta e grano duro, pomodoro e derivati e riso.

Indicazioni nelle etichette alimentari, l’indagine su alcuni prodotti

Di seguito, vogliamo ora analizzare alcuni prodotti alimentari con riferimento ai quali, sostanzialmente in punto normativo nulla cambia, ma ci appare interessante rappresentarli come segue.

ALIMENTOORIGINE OBBLIGATORIAINDICAZIONI IN ETICHETTANORMATIVA
Pasta- barretta – grano duroSi, fino al 31.12.2021 (in via sperimentale)
  • Paese di coltivazione
  • Paese di mollitura
D.M. 26.07.2017

D.M. 1.04.2020 (deroga/proroga)

Riso
  • Paese di coltivazione
  • Paese di lavorazione
  • Paese di confezionamento
D.M. 26.07.2017

D.M. 1.04.2020

(deroga/proroga)

Pomodoro e derivati
  • Paese di coltivazione
  • Paese di trasformazione
D.M. 16.11.2017

D.M. 1.04.2020

(deroga/proroga)

Carne suine trasformate ed insaccati
  • Paese di nascita
  • Paese di allevamento
  • Paese di macellazione
D.M. 6.08.2020
Latte e prodotti lattiero caseari
  • Paese di mungitura
  • Paese di condizionamento o trasformazione
D.M. 9.12.2016 D.M. 22.07.2020

(deroga/proroga)

Carne bovina Si
  • Paese di nascita
  • Paese di allevamento ingrasso
  • Paese di macellazione
  • Paese di sezionamento
Reg. CE 1770/2000

DM del 25/02/2005

Carni ovina – suina – caprina e volatili

(fresche, refrigerate o congelate)

  • Paese di allevamento
  • Paese di macellazione
Reg. Es. (UE) N. 1337/2013
Prodotti ortofrutticoliProvenienza del prodottoD.lgs 109/1992

Reg. (UE) 1308/2013

Prodotti della pesca non trasformati (freschi e surgelati)Si

Zona di catturaReg. UE 1379/2013

Reg. CE 104/2000

Reg. CE 2065/2001

D.M 27 marzo 2002

Uova
  • Paese di provenienza

(per imballaggio)

Reg. CE 589/2008

Reg. CE 1028/2006

Reg. CE 2195/2003

Sul guscio:

  • Codice alfanumerico (numero indicante il tipo di allevamento 0=biologiche; 1= allevamento all’aperto; 2= allevamento a terra; 3= in gabbia)
  • Sigla UE ove l’uovo è stato deposto (Italia=IT)
  • Codice Istat Comune di produzione
  • Codice della Provincia di produzione
  • Numero identificativo dell’allevamento
MieleSiPaese di raccoltaDir. UE 2014/63

L. 114/2015 (art. 17)

Olio d’oliva

(vergine ed extravergine)

  • Paese di raccolta di coltivazione e molitura
  • Zona geografica e di coltivazione, luogo del frantoio solo per olio a denominazione protetta
Reg. UE 29/2012

L. 9/2013

Bevande spiritoseOrigine geograficaReg. CE 110/2008

Fatte salve le indicazioni riportate nel Reg. UE 1169/2011 di cui si è detto, rammentiamo che rimangono invece esclusi dall’obbligo di indicare l’origine in etichetta prodotti come ad esempio:

  • pane
  • biscotti, merendine, cracker, fette biscottate
  • gnocchi, pasta ripiena
  • legumi secchi
  • carni di coniglio
  • e altri…

Origine in campo alimentare, cosa significa

L’indicazione di origine di un alimento in etichetta è designata come un diritto fondamentale per il consumatore dall’Unione Europea e dalle amministrazioni nazionali facenti parte del territorio europeo. Questa indicazione costituisce, ad oggi, un aspetto importante al punto tale da poter condizionare la scelta del consumatore nell’acquisto di un prodotto, piuttosto che un altro.

La precisazione della provenienza (o dell’origine) di un alimento non solo rappresentano un elemento fortemente correlato con la qualità dello stesso, ma anche con la scelta del consumatore, bene potendo determinare sia l’effetto premiante per determinate filiere considerate più rigorose da un punto di vista della sicurezza alimentare, che l’aspetto discrezionale nelle scelte etiche o ambientali preferendo ad esempio alimenti a chilometro zero.

Il paese d’origine e il luogo di provenienza non sono tuttavia sinonimi.

L’art. 2 del Regolamento UE 1169/2011 definisce, infatti, il «luogo di provenienza» un qualunque luogo indicato come quello da cui proviene l’alimento, diverso dal «paese d’origine» previsto dagli art. 23 – 26 del Regolamento (CEE) n. 2913/92.

Al riguardo, si devono intendere “originarie” di un paese, tutte quelle merci interamente ottenute in quel tale paese (art.23). Ad esempio, per le produzioni vegetali il paese d’origine è quello dove è avvenuta la raccolta; per le produzioni animali è quello ove sono nati ed allevati.

Per queste tipologie di prodotti il “luogo di provenienza” ed “il paese d’origine” sono di fatto coincidenti.

Diversamente, avviene invece per un alimento alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi, in tal caso il paese d’origine sarà quello in cui è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata in un’impresa attrezzata a tale scopo, conclusasi con la fabbricazione di un prodotto nuovo ovvero nella misura in cui abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione (art.24)

In detta ipotesi evidentemente il luogo di provenienza degli ingredienti non può essere lo stesso dell’alimento.

Il Regolamento UE n. 1169/2011 definisce inoltre che il nome, la ragione sociale o l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare apposto sull’etichetta non costituisce un’indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza del prodotto alimentare.

A siffatte definizioni si ricollegano i principi di tracciabilità e rintracciabilità alimentare i quali ampliano decisamente il concetto che non va inteso solo più come percorso geografico e territoriale, ma anche come processo tecnologico e di trasformazione.

La definizione di tracciabilità si rinviene nel Regolamento 1830/2003, mentre il principio di rintracciabilità viene definito dall’art. 3 del Regolamento 178/2020 (sempre CE).

Per «tracciabilità» si intende l’insieme delle azioni volte a tenere traccia di tutti gli elementi che intervengono lungo la filiera e che creano, modificano o trasformano un prodotto. In sostanza, al flusso di merci parallelamente avviene un flusso di informazioni, registrate e conservate step by step.

Per «rintracciabilità» si vuole invece significare la possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un alimento, di un mangime, di un animale destinato alla produzione alimentare o di una sostanza destinata ovvero atta ad entrare a far parte di un alimento o di un mangime attraverso tutte le fasi rispettivamente della: produzione, trasformazione e distribuzione.

Si tratta, in pratica, della capacità di ricostruire a ritroso il percorso di un alimento vale a dire dal prodotto finito alla materia prima di partenza.

Da ciò facilmente si evince che i processi di tracciamento e rintracciamento saranno tanto più complessi quanto maggiore sarà il numero degli operatori economici implicati nella trasformazione e commercializzazione di un alimento. In tali ipotesi, le informazioni che giungeranno al consumatore finale tramite la etichetta non saranno descrittive dell’intero processo.

Ancora, le procedure di tracciabilità nascono come sistema di tutela della salute alimentare e non concorrono in maniera significativa a fornire informazioni al consumatore, semmai operano di più nei controlli come ad esempio nel caso in cui non sussista una piena conformità di prodotti alimentari; oppure dalle azioni di ritiro del prodotto dal mercato al controllo delle materie prime di partenza.

Al contrario, una filiera alimentare ‘corta’, laddove l’alimento abbia subito un numero minimo di passaggi dal produttore al consumatore, potrebbe essere considerata più esaustiva in termini di informazioni che giungono al consumatore.

Cosa cerca nelle etichette alimentari il consumatore finale

Negli ultimi anni il consumatore, tanto a livello nazionale quanto europeo, si è espresso chiaramente in materia di interesse nelle indicazioni fornite dalle etichette alimentari, grazie ai diversi strumenti promossi, al riguardo, e sull’intero territorio.

Di seguito, analizziamo tre scenari: una petizione e due indagini.

Una petizione partita su un’iniziativa dei Cittadini Europei e registrata presso la Commissione Europea si è conclusa a inizio ottobre 2019.

In Italia l’iniziativa è stata promossa da Coldiretti, Campagna Amica, Slow food ed altri.

Tale petizione recita testualmente: «L’obiettivo principale dell’etichettatura dei prodotti alimentari è fornire ai consumatori informazioni coerenti e trasparenti che consentano loro di compiere scelte informate. La presenza di informazioni sul luogo di origine dei prodotti alimentari è considerata sempre più importante, ma ai sensi della normativa europea vigente i consumatori possono potenzialmente essere fuorviati e esposti alle frodi alimentari. Al momento, l’origine deve essere sempre riportata per i seguenti alimenti: miele; olio d’oliva; frutta e verdura fresca; pesce; carni bovine, suine, ovine, caprine e avicole (fresche, refrigerate o congelate). Per tutti gli altri alimenti, l’etichettatura di origine è solo volontaria. Mancano all’appello prodotti a base di carne, latte, latticini, alimenti non trasformati e prodotti a base di singoli ingredienti (ad esempio farina o zucchero)’. Viene quindi richiesto alla Commissione europea di rendere obbligatoria l’indicazione del paese di origine per tutti gli alimenti trasformati e non trasformati che circolano nell’UE e di introdurre requisiti di tracciabilità più rigorosi al fine di rafforzare la sicurezza alimentare e la trasparenza su tutta la catena di approvvigionamento del cibo».

In risposta a tale petizione, che ha raccolto 1,1 milioni di firme in 7 stati membri, l’Italia, con il succitato decreto in vigore dal 1° di Aprile 2020, è stato prorogato l’obbligo di indicare l’origine geografica di alcuni alimenti che altrimenti sarebbe decaduto con l’entrata in vigore del Regolamento esecutivo UE 775/2018 sopra analizzato.

Un’indagine sull’etichettatura dei prodotti agroalimentari svolta da ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) con il Mipaaf, tra il dicembre 2018 ed il gennaio 2019, ha avuto come obbiettivo quello di conoscere il parere dei consumatori sul fabbisogno di informazioni in materia di origine delle materie prime e luoghi di lavorazione e trasformazione degli alimenti.

Ne è conseguito che l’83% dei partecipanti indica l’origine italiana come l’elemento che maggiormente influenza la scelta di un prodotto al momento dell’acquisto. Oltre il 95% dei partecipanti vorrebbe che l’origine della materia prima fosse indicata in maniera più chiara e leggibile, in etichetta.

A livello Europeo, il parere dei consumatori è stato ben descritto da un’indagine complessa promossa dall’ESFAEuropean Food Safety Authority. Dal tale stidio si ricavano informazioni importanti circa l’interesse generale in materia di sicurezza alimentare includendo fattori che influenzano le scelte dei consumatori ed un’attenta analisi dei canali di informazione più utilizzati.

Lo studio è stato condotto nel 2019 nei 28 Stati membri dell’Unione Europea mediante interviste nelle lingue di appartenenza dei consumatori.

Il 41% degli intervistati a livello europeo dichiara di preoccuparsi personalmente di sicurezza alimentare, mentre l’Italia si posiziona all’ultimo posto con il 17 % degli intervistati. Nonostante lo scarso interesse verso la questione in generale, nello specifico, al momento dell’acquisto per molti aspetti poniamo un’attenzione maggiore rispetto alla media europea. Siamo per esempio molto più attenti ai rischi di eventuale tossicità, ben più della media europea — ha infatti risposto affermativamente il 61% degli intervistati italiani contro il 50% di quelli europei — e sulla provenienza degli alimenti, che preoccupa il 61% dei connazionali contro il 53% degli europei.

È interessante ancora osservare che nella scelta di un prodotto la questione “costo” non sia ritenuta così incisiva rispetto ai fattori precedentemente citati: solo il 37% degli italiani intervistati, infatti, reputa il costo uno dei fattori determinanti l’acquisto, contro il 51% degli europei.

L’interesse nei confronti dei valori nutrizionali degli alimenti si colloca al quarto posto, in ordine di importanza, per gli intervistati italiani e solo al quinto posto per la media degli europei.

Di seguito riportiamo due grafici pertinenti al tema in questione, come da didascalie sotto indicate.

etichette alimentari


Illustrazione 1
: Percentuale di interesse degli intervistati in materia di sicurezza alimentare suddivisa per i rispettivi Paesi. La percentuale media Europea di interesse è del 41%.

Illustrazione 2: Rappresentazione grafica degli aspetti ritenuti più importanti nell’acquisto di un alimento per i consumatori italiani (in grigio) e la media europea (in rosso)

Conclusioni

Proprio grazie alle indagini ora esposte, riteniamo di dover concludere ponendo l’attenzione su alcuni aspetti.

Rispetto alle esigenze del consumatore in ordine alle indicazioni in etichetta, la normativa finora emanata, probabilmente necessiterà di ulteriori elaborazioni. A oggi, infatti, non risulta ancora ben definito cosa succederà dal 1°gennaio 2022.

Spesse volte, l’origine della materia prima o dell’alimento vengono concepite come un fattore di qualità dello stesso.

Ad esempio, per il consumatore italiano leggere in etichetta “origine italiana” equivale ad un surplus qualitativo nella scelta, in fase di acquisto.

Di fatto, l’indicazione di origine geografica non da indicazioni sulla qualità dell’alimento; mentre offre delle indicazioni maggiori quale strumento di sicurezza alimentare.

Forse un’esposizione più chiara in etichetta di quelle che sono le caratteristiche nutritive potrebbe portare ad un interesse maggiore da parte del consumatore nella lettura di tali parametri.

Attualmente, è aperto il dibattito sulla modalità unificata di rappresentazione di tali caratteristiche sulle confezioni ponendo in contrapposizione le etichette cd “a semaforo” o “nutri/score” e le etichette “a batteria”, oggetto di altro articolo. 

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articoli correlati

Articolo 1 di 3