Digital farming

Agricoltura e digitale: come coniugare tradizione e innovazione

La testimonianza di Giuliano Preghenella, agricoltore e innovatore alla ricerca di un rapporto più stretto e concreto tra innovazione tecnologica e digitale e realtà quotidiana delle imprese agricole

Pubblicato il 24 Gen 2022

Giuliano Preghenella, digital farmer

Il mondo dell’innovazione tecnologia e del digitale in particolare ci ha abituati da sempre ad accelerazioni potenti, spesso improvvise, che portano a importanti “cambiamenti di paradigma” con un’espressione che lascia intendere una evoluzione radicale nel modo di lavorare, di relazionarsi, di creare valore. Nel momento in cui si sovrappone la capacità di innovazione spesso “rivoluzionaria” del digitale con le logiche del settore primario si aprono nuove opportunità e nuovi “rischi”. Per questa ragione è importante porsi l’obiettivo di guardare al rapporto tra innovazione e agricoltura partendo dal “campo”, dal mestiere, dalle necessità dell’operatività quotidiana.

Per avere un confronto aperto su queste dinamiche abbiamo coinvolto Giuliano Preghenella, agricoltore e innovatoreun “digital farmer” attivo in un’azienda agricola trentina con attenzione e fiducia nell’innovazione digitale.

Guliano Preghenella inizia la professione di agricoltore a conclusione del percorso di studi presso la scuola di agraria a S. Michele all’Adige, nell’azienda del padre. Opera in una realtà che è inizialmente dedicata alla produzione di mele Golden con piante innestate su Franco Golden, ma che poi sceglie di “convertirsi” alla produzione vinicola. Le vigne che vengono introdotte riguardano il cultivar più in voga, vale a dire il Pinot Grigio, che viene poi esportato in particolare negli USA, lo Chardonnay per il TrentoDoc e poi più recentemente il Gewürztraminer che viene prevalentemente consumato in loco. Risalendo la Valle dell’Adige l’azienda si raggiunge all’altezza dell’ultimo paese che possiamo definire dell’area mediterranea. Se si prosegue si entra nell’area germanofona dell’Alto Adige, con non pochi cambiamenti a livello di lingua, usi e costumi.

In quale territorio operate? Proviamo a descriverlo

La terra è fertilissima, le esondazioni del fiume Adige avvenute nel corso dei tempi hanno creato un territorio speciale, anche il clima aiuta perché particolarmente mite. Qui in Trentino molti agricoltori sono soci della Cooperazione che ha garantito nel tempo la commercializzazione sicura dei nostri prodotti e così anche un reddito dignitoso. Abbiamo poi dei centri di ricerca e di formazione di eccellenza che ci assistono e ci sostengono. Potremmo dire che disponiamo di un ambiente molto favorevole sotto tanti aspetti, non fosse, forse, per la preoccupazione del ricambio generazionale. Credo che possano essere numerose le imprese che fra una decina di anni rischieranno di trovarsi per forza di cose senza una guida.

 

Per quale motivo?

Paradossalmente si potrebbe dire che è l’effetto del benessere? E che ci sono attività più facili da svolgere, che chiedono minori sacrifici, ma ci sono anche problemi strutturali e vorrei arrivare a sottolineare il risvolto di piani come Green Deal e delle strategie ad esso collegate, come il Farm to Fork e la protezione della biodiversità. Si tratta di piani di straordinaria importanza che richiedono a noi agricoltori uno sforzo notevole da qui al 2030, un impegno che che tradotto in pratica significa produrre di più con minori risorse. Siamo cioè davanti a una grande sfida, ma la tendenza è segnata e l’agricoltura si deve adeguare e ha il compito di trovare in tempi brevi nuovi mezzi e nuove tecnologie per svolgere il proprio fondamentale compito: che è poi quello di nutrire il pianeta.

Avviciniamoci all’innovazione e al digitale: come le vedete dalla vostra esperienza in azienda e che ruolo possono avere per raggiungere questi obiettivi?

Per rispondere dobbiamo fare un piccolo passo indietro. Per raggiungere gli obiettivi che abbiamo davanti, e che ci chiedono, legittimamente, di produrre di più, di utilizzare minori risorse, di attuare una trasformazione nei sistemi agroalimentari e di garantire maggiore sicurezza nei prodotti, ci sono – semplificando molto – due grandi strade: interventi sulla genetica e l’innovazione tecnologica e digitale.

Partiamo da qui, dall’innovazione tecnologica e digitale, come imprenditore agricolo, ti chiederei di darci la tua personale prospettiva: a che punto vi trovate, sulla base della tua visione?

Questa è la domanda più importante oggi, che traduco in modo ancora più diretto: siamo pronti noi agricoltori per queste sfide? La mia risposta da agricoltore è che purtroppo non lo siamo. Per correttezza devo sottolineare che parlo sulla base della mia personale esperienza e visione, ma devo segnalare le tante arretratezze che caratterizzano la nostra categoria in particolare a livello di formazione. Purtroppo, non si è ancora instaurata la giusta collaborazione tra agricoltori impegnati nel lavoro quotidiano, sul campo, e le figure che a livello cooperative o associativo si occupano di innovazione. Questo è un punto focale importantissimo.

Adriano Olivetti insegnava che la fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti, deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia. È passato tanto tempo, ma siamo ancora lontani dall’applicare questo insegnamento. Ecco che noi agricoltori dobbiamo far sentire più forte la nostra voce, dobbiamo essere partecipi e protagonisti dello sviluppo del nostro settore. Ritengo che l’innovazione possa far crescere in termini generali il valore di un territorio e gli agricoltori dispongono di una conoscenza unica dell’ambiente che può essere preziosissima per la produzione agroalimentare ovviamente, ma anche per tematiche legate alla sostenibilità, alla sicurezza, alla trasformazione energetica.

La domanda a questo punto è come?

Ascoltando diversi interventi ed eventi in rete si possono ascoltare tante esperienze di successo adottate in tanti e diversi territori. Faccio qualche esempio: l’App 4Grapes di Giovanni Bigot che offre all’agricoltore l’opportunità di raccogliere e condividere i dati del proprio vigneto. Al di là di questa specifica esperienza questo è un metodo straordinario per aumentare la conoscenza del territorio. Se all’osservazione dell’agricoltore e alla condivisione delle proprie osservazioni si aggiunge il valore di chi porta competenze di innovazione tecnologica e digitale, si possono stabilire le migliori strategie di intervento, sia per quella realtà imprenditoriale sia per aumentare la conoscenza del territorio in cui si colloca. Questo può portare ad avere maggiore precisione sui temi dell’irrigazione, delle problematiche legate a possibili minacce che compromettono la sicurezza o la qualità dei prodotti e quindi dati utili per capire come trattare le coltivazioni o sul momento più opportuno per la raccolta. Insomma si tratta di dati e conoscenza nuove per definire best practices, per ottenere, in definitiva, il prodotto migliore.

Una veduta del territorio nel quale è inserita l’azienda in cui opera Giuliano Preghenella

La risposta è dunque investire sui dati?

I dati sono fondamentali, ci possono aiutare a stabilire un’ottima linea di difesa o di intervento. Il problema è superare la paura della condivisione che è quella che ora ci caratterizza, che ci tiene tutti in una sorta di limbo e che non porta nessun vantaggio.

Come se ne esce, dal tuo punto di vista?

Sarebbe saggio stabilire presto regole precise per la condivisione dei dati, occorre incoraggiarne la raccolta, fare in modo che ci sia una corretta conoscenza degli standard e delle metodiche comuni e garantire tutti gli agricoltori che questo approccio non deve essere vissuto come un rischio o come una minaccia. Occorre trasferire correttamente il valore della conoscenza che può arrivare da questi dati. Oggi corriamo il rischio che ci siano agricoltori che rinunciano a raccogliere questi dati e sarebbe un bruttissimo autogol.

Facciamo qualche esempio

Per capire meglio i vantaggi della condivisione pensiamo al progetto Condifesa TVB, una realtà che ha dato vita all’App BODI, un DSS, che permette al viticoltore di conoscere la durata precisa nell’azione del principio attivo utilizzato nell’ultimo trattamento ed evitare così di ripetere il trattamento. In questo caso l’intelligenza artificiale utilizza i dati meteorologici misurati e quelli di previsione assieme alle informazioni riguardo lo stadio di sviluppo dei tessuti della vite sensibili alle malattie e suggerisce il trattamento fitosanitario solo quando il principio attivo ha effettivamente terminato la sua capacità di difesa. Con questo sistema si migliora l’efficacia dei trattamenti usando i principi attivi solo quando è strettamente necessario con tutto vantaggio per l’ambiente, per la salute dell’agricoltore e per l’economia aziendale.

Ecco queste applicazioni rappresentano un bell’esempio di ciò che si può fare oggi per iniziare un fine processo di digitalizzazione e di condivisione della conoscenza delle nostre aziende agricole con tipologie progettuali che potrebbero essere applicabili in tempi ragionevoli, con investimenti accessibili soprattutto se si dispone delle competenze per valorizzarli in termini di gestione delle risorse e di maggiore efficacia nella propria capacità produttiva.

Ma aggiungo che questi sono solo due dei tanti progetti per la viticoltura che sono oggi disponibili. Ce ne sono tanti altri e occorre conoscerli e decidere perché la concorrenza non è ferma ma sta a sua volta sfruttando le potenzialità del digitale per cogliere un vantaggio competitivo.

Concretamente cosa occorre fare?

Il mondo delle associazioni dovrebbe guardare in modo più deciso e pragmatico all’innovazione ascoltando anche la voce dei territori e degli agricoltori, in particolare in concomitanza con scelte che riguardano il nostro settore e il nostro futuro delle imprese. Tanto per fare un esempio, sul PNRR sarebbe importante sentire anche la nostra voce perché la prospettiva di una trasformazione tecnologia, digitale per il mondo dell’agricoltura (si veda la Missione 2 del PNRR: Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica con Economia Circolare e Agricoltura Sostenibile e Tutela del Territorio e della Risora Idrica in particolare n.d.r.) potrebbe essere fondamentale per disporre di una maggiore conoscenza utile a indirizzare i progetti. Siamo nel pieno della quarta rivoluzione industriale, tutti devono contribuire a portare conoscenza. Un esempio potrebbe venire proprio dall’Unione Europea ha creato la piattaforma “Have your say”  (qui ) per dare a tutti i cittadini europei la possibilità di intervenire e dire la loro.

Dal tuo punto di vista di agricoltore, ci sono le condizioni per un rapporto di questo tipo? Come vedi questa specifica esperienza?

Purtroppo a oggi su questa piattaforma europea ci sono temi che attengono il futuro dell’agricoltura, ma arrivano pochissime risposte dall’Italia, mentre Francia e Germania sono attivissime e arrivano ad esprimere anche oltre 20.000 risposte, il nostro paese arriva a fatica al migliaio di unità. Il mio vuole essere un invito ad attivarci per essere più incisivi nelle scelte invece di subire quelle di altri paesi.

C’è poi un altro tema e riguarda il ruolo dei centri di ricerca: a mio avviso sarebbe strategico stabilire un rapporto più diretto con gli agricoltori per favorire l’interazione tra la ricerca e l’implementazione. Dobbiamo contaminarci a vicenda: noi agricoltori dobbiamo sapere quali tecnologie sono a disposizione e cosa permettono di fare mentre ai tecnici potrebbe essere utile conoscere cosa serve nello specifico e nella nostra realtà operativa quotidiana a noi agricoltori.

Mi sembra, per concludere, che torni con forza il tema delle competenze e della formazione?

Sì, è fondamentale e indispensabile per far partire l’innovazione. Anche qui la tecnologia deve aiutarci, esistono in Italia ottime società per la formazione professionale specializzata nel comparto agroalimentare, occorre favorire la diffusione di queste opportunità, occorre facilitare l’accesso ai corsi a tutti gli agricoltori italiani. Per questo occorre lavorare per disporre di soluzioni facili per accelerare la nostra formazione e prepararci alle belle sfide che ci attendono.

Vorrei concludere con una bella frase del mio mentore, il professor Stefano Zamagni: “La conoscenza è un bene comune perché se io so una cosa e te la dico a te io non perdo la mia conoscenza e però tu l’acquisti, quindi a livello di bene comune questo aumenta, se invece la conoscenza me la tengo solo per me questo effetto di tipo moltiplicativo non potrà mai avvenire”.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articoli correlati